Ultimamente si fa un gran parlare di democrazia liquida. Ma di che cosa si tratta? La democrazia liquida è un tipo di democrazia in cui vengono integrati i concetti della democrazia diretta con quelli della democrazia rappresentativa. La forma più diffusa di democrazia liquida è rappresentata dalla e-democracy, o democrazia elettronica.
Uno dei primi esempi dell’applicazione di questa nuova forma di partecipazione alla vita politica di uno Stato è quella messa in atto dal Partito Pirata tedesco che si è avvalso di un software open source chiamato LiquidFeedback che è stato sviluppato dall’organizzazione indipendente Public Software Group per permettere di “raccogliere e promuovere la formazione di opinioni condivise all’interno di una società” (fonte Wikipedia).
Ma senza arrivare alla e-democracy, anche in Italia la partecipazione via web inizia ad incidere in modo importante nelle scelte politiche, per ora attraverso due canali principali.
Il primo è certamente Twitter che ha permesso di sviluppare un dibattito politico orizzontale in cui la credibilità non è data dalle etichette dei contributori o dalla loro posizione nella società ma dalla loro capacità di diventare dei social influencer. Andando su un esempio concreto, la discussione politica sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica italiana che si è sviluppata su twitter e sugli altri social network, ha avuto ripercussioni politiche sulle scelte dei politici che hanno sentito la pressione dell’opinione pubblica allargare la platea al di là dei tradizionali mezzi di comunicazione quali i giornali e la tv. Con l’avvento di twitter e dei blogger i giornalisti non sono più i depositari unici del momento di formazione della decisione pubblica, non ne hanno più l’esclusiva. E questo, se da una parte impone che l’utente di questi servizi abbia il necessario spirito critico per valutare l’attendibilità delle fonti, dall’altra diventa un fenomenale stimolo per i giornalisti a ridisegnare parte della loro professionalità: la sfida diventa quella di coniugare autorevolezza con la capacità di interagire in modo istantaneo con i propri lettori.
Il secondo sono gli strumenti come Change.org, piattaforme per lanciare petizioni che ultimamente hanno visto la loro popolarità crescere esponenzialmente riuscendo a portare l’attenzione del dibattito politico sulle istanze che gli utenti sottopongono all’attenzione della comunità, non solo virtuale.
Forse siamo ancora lontani dalla democrazia liquida ma certamente l’influenza che internet e i social network iniziano ad avere sul dibattito politico sta acquisendo, giorno dopo giorno, sempre maggiore importanza.
Credibilità ed autorevolezza, ormai, sono concetti che dalla teoria appresa sui banchi dell’Università non possono più essere divulgati soltanto in un modo. Il giornalismo appreso in strada e studiato per l’esame, quello con la Legge ’47/’48, per intenderci, non può continuare ad essere esercitato alla maniera di allora. Giungere a rappresentare i new (present) media con l’aspetto liquido e, dunque, per inverso, non condensato, è un logico e fisiologico punto di arrivo.
L’aspetto liquido non può rappresentare un punto di arrivo, ma di partenza. La capacità del giornalista moderno deve essere quella di saper mediare il flusso continuo di informazioni, selezionandole e rendendole intellegibili a tutti. Non si può pensare che lo strumento, si tratti di Twitter o di qualsiasi altro, possa assolvere a questo compito. La mediazione deve continuare ad essere fatta dalle persone e non dai mezzi. Il plus del giornalismo 2.0 deve venire dalla possibilità che offre di ampliare la platea dei verificatori dell’attendibilità dell’informazione, il cosiddetto fact checking, e non dal superamento del momento della mediazione che oggi può e deve essere effettuata ex ante ed ex post.